giovedì 20 gennaio 2011

SOTTO I SOLI DI FRICANE (il tesoro di Yon) - 1986

C'era un forte puzzo di fumo; fumo di tabacco di dubbie origini e di concia ancor più dubbia. Gli altri odori erano avvertibili solo dopo alcuni istanti d’adattamento delle narici all'atmosfera pesante dell'elettropub: l'acuto dolcino dei distillati sintetici (avevano il coraggio di chiamarli "scotch"), il vago amarognolo delle birre di BERGALI e il frizzo asettico dal sapore medicinale dell’Astro-Cola.
Dietro il bancone elettronico spiccavano due cose: il barman e una attraente serie di lattine originali di birre terrestri e di varie Cole, tutte antiche e tutti perfetti ologrammi ingannatori.
- Una birra, prego. - sospirò affacciandosi al banco, proprio di fronte all'omone vestito con una puzzolente casacca di nylon.
" Ecco dov'è finita la partita sbagliata di Teriammon 56. " pensò Yon.
Sui bollettini ad alta frequenza era stata una notiziola di coda, diversi mesi prima.
Sul ricco mondo di VERCAL si era verificato uno spiacevole inconveniente: molte tuniche confezionate da una nota sartoria interstellare, la Valestar United, avevano l'orrendo difetto di reagire al sudore umano puzzando atrocemente. Naturalmente la Interstellar Modern Chemical Industry Ltd. aveva immediatamente ritirato la partita sbagliata (ben oltre milleduecento tonnellate!) e aveva rimborsato la Valestar ed i suoi ricchi clienti "traditi". Li su FRICANE, invece, non ci avrebbero fatto tanto caso se puzzavano di più o di meno del solito per colpa degli abiti: al massimo potevano dare l'opportunità alla I.M.C.I. di recuperare in parte i guadagni perduti con la vendita di massa di qualche milione di filtri oral-nasali FK-107, durata tre mesi e costo elevato per i redditi medi degli abitanti di FRICANE.
- Che tipo? - chiese vivacemente il barman.
- Che tipo, cosa? - gli rimandò Yon tornando sul pianeta e nel pub.
- La tua birra. Cosa vuoi: Asterscott, Himmekein, Astrazzur, Star Artué...? Scegli. -
Nonostante i nomi vagamente solleticanti ed evocatori d’antichi aromi di luppolo e malto (roba terrestre di secoli prima), quelle porcherie fermentate prodotte su BERGALI erano solo quanto di peggio un individuo, di qualunque razza in giro per i mondi, potesse tracannare per dissetarsi o per il gusto di bere.
Naturalmente non ubriacavano, altrimenti chi lavorava il giorno seguente?
- Una Star Artué... - chiese con aria sognante e gli occhi fissi sull'ologramma in alto a sinistra, bianco, giallo e rosso.
L'omone in teriammon premette un pulsante sul banco e gli chiese contemporaneamente mezzo fiorino.
Il boccale di birra arrivò, ricolmo di un liquido gialliccio e schiumoso: poco invitante, secondo Yon.
Avvicinò il boccale alle labbra e ne bevve appena un sorso: mediocre riproduzione di una buona birra simil-terrestre. Lontanissima dagli aromi originali, comunque.
Una spallata sotto il gomito gli fece rovesciare il boccale appena iniziato.
Girò la testa verso l'intruso: era un "Tosato" rotondino e corto; una testa vuota, riempita soltanto delle stupidaggini delle pseudo-religioni e delle superstizioni importate dai Pianeti Tempio.
Solo una corona di capelli sulla testa, per il resto rasata, e forse anche dentro non c'era molto di più...
" Non vale neanche la pena litigarci. " concluse Yon.
Osservò il barman servire al Tosato un bicchierone di liquido trasparente.
" Acqua del Tempio: bevono solo quella... e gratis. " ricordò.
Infatti il barman, dopo avergli servito la bevanda, non gli chiese niente: l'Acqua veniva recapitata gratis dai Viaggiatori dei Pianeti-Tempio (in genere ex-piloti spaziali che facevano la spola fra i vari mondi conosciuti) che anzi versavano una cauzione per l'uso di una delle spine del bancone. I gestori degli elettropub dovevano solo intascare la loro quota, poi servire gratis l'Acqua del Tempio ai seguaci delle Diciotto Sette che la richiedevano.
Il "Tosato" si portò il bicchiere alle labbra e Yon, nello stesso momento, arretrò di scatto, urtandolo volutamente.
L'acqua si sparse sul bancone e sulla tunica dell'avventore.
" Tanto è gratis. " concluse Yon allontanandosi verso l'uscita.
Lo fermò sulla porta del pub un tipo alto e sagaligno, tanto pallido da sembrare albino, anche per gli occhi chiarissimi e per il colore platinato dei capelli, corti e stopposi.
- Sei un viaggiatore? - gli chiese il pallidone.
- Perché vuoi saperlo? Chi sei? -
Yon era d'un tratto divenuto arcistufo dell'elettropub e della fauna umana che lo popolava.
- Bello quel fucile! - disse l'estraneo indicando l'arma che Yon portava a spalla - ...E le tue mani non sono callose e piene di rughe sporche. Non sei un lavorante del pianeta: loro non girano armati e hanno mani ben diverse dalle tue. - concluse.
- Bravo il nostro Sherlock! Insomma chi sei? - sbottò Yon.
- Sono un viaggiatore, come te: porto l'Acqua del Tempio. E sono umano! Non uno "scer... scercoso" -
Yon lo mandò a quel paese con un gesto della mano.
- Aspetta, straniero! Io posso aiutarti se mi dici che cosa cerchi su FRICANE... -
Yon si fermò solo quando fu fuori, nell'atmosfera frizzante e filtrata della base ricreativa. Il Viaggiatore dei Pianeti-Tempio però lo aveva seguito.
- Hai inteso quello che ti ho detto? Se ti serve del denaro posso pagarti: ho una proposta per te... -
Yon lo studiò: fra i viaggiatori interplanetari era diffusa l'abitudine d’avere rapporti omosessuali od eterosessuali senza distinzione. L'uomo però non sembrava far parte di quelle schiere bivalenti e Yon ne fu soddisfatto: anche lui preferiva accoppiarsi con individui di sesso diverso dal suo.
- Quale proposta? - gli domandò.
- Certamente cercherai un passaggio verso un altro mondo... -
Yon lo interruppe:
- Sono arrivato stamani! -
- Forse è vero. Comunque ti serviranno dei soldi... -
Yon si batté in silenzio sul tascone frontale del suo giubbotto spaziale, come a dire che li teneva lì.
- ...Cercherai allora un lavoro e un veicolo per arrivare alla più vicina base di attracco dei trasporti o di traghetti interplanetari... -
- Sono un ottimo camminatore. - chiarì Yon, sorridendo.
Il pallido fece una smorfia di insoddisfazione che rimbalzò anche quella sull'espressione canzonatoria di Yon, come tutte le illazioni fatte fino a quel momento.
- Bene, Uomo-col-Fucile. Diciamo allora che sono io ad aver bisogno di te. Ti pago due giorni di viaggio sulla mia macchina: ovvero fino alla prossima base d'attracco. Centocinquanta fiorini al giorno solo per farmi compagnia. Sai giocare a scacchi piuttosto? Gli scacchi di TETRADON, intendo. -
Strana davvero come proposta.
Yon rifletté velocemente: perchè quel tipo voleva pagare trecento fiorini a uno sconosciuto per un viaggio abbastanza comodo e di soli due giorni? Per portare acqua gratis e giocare a scacchi?
No... non ci credeva nemmeno se glielo metteva per scritto.
- Quando si parte? – chiese però al pallido, curioso di vedere come sarebbe andata a finire.
- Dunque accetti? Bene: partiamo domani all'alba. Ormai è tardi e non danno più il permesso di uscire dalla cintura protettiva della base. -
- A quale alba? La Prima o la Seconda? - domandò Yon.
Il viaggiatore ebbe un moto di sorpresa:
- Per essere arrivato stamattina sai tante cose su FRICANE! - puntualizzò.
- E' vero: ma io leggo sempre gli opuscoli delle agenzie di viaggi. - gli disse Yon, scherzando.
Il pallidone fece spallucce.
- Va be'. Partiremo alla prima alba: farà più fresco e la visibilità sarà già abbastanza buona. Hai dove dormire? -
Yon ricordò che non si era posto il problema da diverse ore.
- No, ma lo troverò. - disse chiudendo il proprio ragionamento.
- L'hai già trovato: io dormo nella macchina, giù alla rimessa pubblica. Ho però un materassino "Piuma" di riserva e un telo filtrante: puoi usarli tu. Purtroppo in macchina c'è posto per una persona sola e io non sono proprio piccolo... -
Yon accettò considerando l'orario e perché quel tipo lo incuriosiva sempre di più.
Realizzò che il suo interlocutore aveva dedotto il suo essere viaggiatore extraplanetario osservando il fucile: era forse quello che lo interessava veramente?
Mosse le spalle per sentirne il peso: poco più di tre rassicuranti chili.
- Non mi hai detto il tuo nome. - disse neutramente il pallido, camminando poco più avanti di lui e un po' di lato.
- Nemmeno tu. - gli rimandò Yon, sbirciando il seno nudo e ben fatto di una ragazza che prometteva, nel cartello in vetrina, gioie olandesi. Retaggi terrestri di decine di secoli prima.
- Ah, scusami, rimedio subito: mi chiamo Art Folker. Viaggiatore del Pianeta-Tempio AZNEIPAS e consegno la Sacra Acqua della Conoscenza nei locali di FRICANE e di POBIARI 3°. -
Fece poi una lunga pausa, distratto com'era dalla vetrina dove una bella figliola, magari un po' abbondante, nera come la pece e con due occhi verdissimi, si muoveva appena, languida e promettente.
- E' un falso. - mormorò apatico Yon, gettando l'occhio sulla vetrina contemplata dall'occasionale compagno.
- Cosa dici? - chiese Art.
- Dico che non è vera: è un ologramma in movimento. Non ci sono nere con gli occhi verdi... -
- Ah no? Non hai mai sentito parlare del pianeta ZAMBET? – Art Folker aveva nella voce un misto di stupore e di cospirazione.
Yon scosse la testa: mai sentito dire di quel mondo.
- Viaggiatore...tse! Comunque per tua norma e regola su ZAMBET ci sono delle donne anche più belle di questa... o questo. Con occhi di uno splendore unico: azzurri, grigi, verdi! - terminò estasiato.
Yon si limitò a replicare che, comunque, quella in vetrina era un ologramma ben riuscito.
- E tu? - chiese il viaggiatore.
- Io, cosa? -
- Il tuo nome: mica me l'hai detto, poi. -
- Yon. - disse laconico e distratto, intento com'era anche lui a conside-rare le varie bellezze esposte in quel tratto di strada bitumata di azzurro.
- Yon... e poi? - insistette l'altro.
- Yon e basta. Sono solo un viaggiatore che gira per conoscere e per fare qualche soldo. – chiarì, dicendo la verità e mentendo al tempo stesso.
Art gli indicò una traversa che si apriva sulla destra. Yon lo seguì per quella strada illuminata.
- Da dove arrivi? - domandò Folker.
- BELCARD 1°. Sono qui per una coincidenza... -
- Ehh... quello che il destino ci riserva ci è sconosciuto! Ricorda in ogni modo che si tratta sempre di circostanze esattamente preordinate... - sentenziò il Viaggiatore, dando sfoggio della sua cultura pseudo-deistica.
Yon lo interruppe riprendendo la parola.
- No. Parlo di una "coincidenza" fra due trasporti interplanetari. Dovevo salire sul traghetto per ARAM ierisera, appena arrivato da BELCARD. Invece il nostro trasporto si i attardato per soccorrere un cargo mine-rario in difficoltà e siamo arrivati su FRICANE con mezza giornata-standard di ritardo: la coincidenza ormai era saltata. -
L'altro sorrise lugubre, scuotendo la testa.
- Ti hanno imbrogliato su BELCARD: non ci sono coincidenze per ARAM da questo pia-neta. L'unico modo è quello cercare un passaggio per i Pianeti-Tempio sui nostri traghetti. Da lì, ne siano lodati tutti gli Dei del Cosmo e tutte le Diciotto Verità, partono viaggi verso tutti i mondi vicini. Sei davvero fortunato ad avermi incontrato! - disse col tono da salvatore di naufraghi.
Yon però non l'ascoltava più, preso nell'osservazione di una bancarella ricoperta di libri di tutti i formati e generi: antichi romanzi, volumi d'arte Terrestre e dei Primi Tre Pianeti, fotolibri tridimensionali, volumi elettronici a cassetta, libri in plastica indistruttibile e quelli di classica buona carta stampata al laser.
Uno lo colpì in particolare, tanto da prenderne una copia e rigirarsela fra le mani con attenzione. Art invece guardò appena il volumetto che Yon aveva fra le mani, giusto il tempo per leggerne titolo e autore: "SU M-2118: UN'ESPERIENZA" di Argo Benyon. Art Folker sapeva che l'autore, mai conosciuto o nemmeno solo visto, era stato per lui un nemico una decina d'anni prima... storia vecchia di quel pianeta, sepolta ormai sotto la sua sabbia rugginosa.
Yon rimise a posto il libro dopo averne lette le prime righe, come se d'un tratto ne fosse totalmente disinteressato o, semplicemente, l’avesse già letto. Sfiorò quindi con l'indice alcune copertine degli altri libri, saltò di netto il settore elettronico e si soffermò sui classici antichi: Trevanian, Tolstoi, Follet, De Carlo, Pasternak, Asimov, Miller, King, Clavell, Busi...
Prese una copia mangiucchiata di "RACCONTI VARI" di Marc Derrel e ne sfogliò le prime pagine: gli sembrò interessante e pagò cinque fiorini al venditore; poi seguì finalmente Art Folker che scalpitava poco più là, di fronte all'ennesima vetrina di una "pleasure dome".
- Fatto spese? - gli chiese, scettico. Lui non odiava i libri in virtù di qualche credo religioso o ideologico, ne era solo totalmente disinteressato: lui viveva d'altro.
Yon non si degnò nemmeno di rispondergli.

*

L'ombra intascò l'oggetto appena rubato, un accendino d’acciaio inossidabile, piuttosto pratico. Poi si guardò intorno, nella fitta penombra della rimessa pubblica: l'oscurità, per chi aveva gli occhi abituati ad essa, si divideva in varie tonalità, che andavano dal nero intenso delle sagome dei veicoli posteggiati, all'azzurrino velato dei vapori stagnanti intorno alle alte lampade blu, troppo deboli e troppo distanti l'una dall'altra per creare una vera illuminazione.

La gente, molta gente, dormiva spesso in quella rimessa, accanto o nei propri veicoli fermi e un'illuminazione troppo viva sarebbe stata solo un disturbo.
In quell'oscurità, nonostante la presenza anche di individui molto sensibili come i Jerras del Sistema di Deneb, i ladri battevano la rimessa come un territorio di caccia popolato da fauna addormentata.
L'ombra, quella notte era il suo turno di caccia, si spostò leggera fra i mezzi fermi e le tante figure distese, a volte anche sul pavimento nudo e sporco, e si diresse verso il chiarore prodotto dalla debole fluorescenza di un telo filtrante in funzione. Se qualcuno aveva un telo filtrante per dormire, poteva avere anche tante altre cosette interessanti...
Il telo formava una sorta di basso parallelepipedo, tenue come un velo od una rete leggera: una piccola luce, un puntino bluastro, segnalava la sua presenza ed il suo funzionamento silenzioso.
Al suo interno s’intravedevano le forme di un essere disteso nel sonno. Il ladro, inginocchiato di fianco al telo, mise una mano sotto il lembo inferiore del telo ed allungò l'avambraccio per pochi centimetri. Era troppo buio però.
Con le dita della sinistra girò la rotella sul lato dei suoi vecchi occhiali ad intensificazione luminosa e fece per osservare meglio la figura dormiente sotto il velo.
Quando sentì il "tlic-vuussz” del sistema di puntamento sobbalzò, poi il bagliore rosso del segnale laser delle mire lo accecò, amplificato dai suoi occhiali.
- Vattene. - fu la sola parola rivoltagli, con una calma quasi disinteres-sata, eppure altrettanto fermamente.
Yon seguì l'arretrare dell'ombra, tenendogli il petto costantemente centrato dal raggio rosso del puntamento luminoso: quando il ladro inciampò in un altro dormiente, spense il sistema e si rilassò di nuovo.
Lui dormiva di un sonno lievissimo, aperto a tutto quello che gli accadeva intorno. Il suo riposo era infatti frutto di precise tecniche di rilassamento, apprese anni prima, con quell'addestramento intensivo tanto odiato, eppure sogno dei suoi vent'anni.
Avrebbe voluto dimenticarlo ma glielo avevano stampato in fondo al cervello grazie ad un metodo totalbrain anti-ipnosi: talvolta gli faceva anche comodo, salvandolo dagli assalti della fauna pericolosa dei pianeti che visitava, bestie od uomini, oppure consentendogli di recuperare le forze socchiudendo gli occhi per pochi minuti, fino alla pausa succes-siva.
Sentì muovere la macchina dietro il telo: Art si agitava nel sonno, probabilmente. Poi null'altro.
Yon tentò di nuovo di rilassarsi, scacciando il ricordo delle colline di FRICANE, sbruciacchiate dai laser da battaglia; si ripulì il cervello forzando i ricordi piacevoli dei suoi successi editoriali: rivide le copie dei suoi libri nelle librerie più famose di EARTH-2, gli assegni magnetici avuti dal suo editore e tante altre piacevolezze.
Si addormentò di nuovo, sognando però ancora cadaveri che fuoriuscivano dalle pagine dei libri e dalle fessure per le bancocard interplanetarie.
O così almeno sembrava...

*

All'ennesimo sobbalzo Yon glielo disse:
- Scansale le buche, accidenti a te! -
Art Folker fece una mezza risata e fece zigzagare la macchina di proposito: sembrava un ragazzino che aveva fatto appena un po’ di confidenza con la moto nuova avuta in dono dai genitori.
Tornò serio d'un tratto e riprese a guidare, male, la macchina.
Sullo sfondo grigio del cielo di FRICANE, dietro le montagne spoglie e sassose, cominciò a far capolino C/33, l'astro più lontano di quel sistema bisolare.
L'aria si rischiarò ben oltre la tenue luminosità durata tre ore del pianeta, la cosiddetta "prima alba” di C/34, un pezzo incandescente del sole più grosso, in orbita anch'esso fra i pianeti del sistema.
- Devo fare una deviazione di qualche miglio... - cominciò a spiegare Folker, indicando un bivio apparso in distanza - ...devo visitare una piccola base ricreativa oltre quei monti laggiù. -
“ Ecco dov’è che ti servo io... “ pensò Yon, tacendo.
Art lo guardò appena, forse perché l'altro non gli aveva detto niente o forse per cercare il fucile dell'occasionale compagno.
A Yon non sfuggì quella ricerca oculare e tirò su la mano destra, che teneva lungo il sedile, e mise il fucile sulle ginocchia.
Art sembrò subito più soddisfatto, confermando la prima impressione di Yon sul vero motivo del suo ingaggio.
Al bivio si staccava dalla traccia dritta della planetaria il segno irregolare della deviazione, dirigendosi verso le colline basse sulla destra dell'orizzonte. Rotonde e di quel colore tipicamente rossastro e brillante, frutto dei diversi minerali in superficie, esse formavano una sorta di corrugamento simile alle dune dei deserti terrestri.
Yon le osservava avvicinarsi, tentando di capirle: quei mucchi di pietrisco e sabbia metallica si somigliavano fra loro: miglia e miglia di quelle colline, ovunque sul pianeta, tutte molto simili fra loro, tranne in un solo punto, forse: dalla cima di un gruppo di quei bassi rilievi si vedeva un picco isolato, una torre di granito azzurro nel bel mezzo di una piana sabbiosa color ruggine...
Un contrasto cromatico inconfondibile.
- Ti rende bene portare l'Acqua Sacra per i pianeti? - chiese Yon, spezzando il silenzio dell'abitacolo e distraendosi dallo studio delle colline. La strada c'era ormai in mezzo e saliva per i dolci declivi che formavano.
- Rende? Io lo faccio per una missione! Su AZNEIPAS provvedono a me, come a tutti gli altri confratelli: niente guadagni! Anche la macchina me l'hanno data loro... -
Strano quel "loro".
- Tu, piuttosto... - inquisì Folker - ...di che vivi in giro per i pianeti? -
Yon fece spallucce. Cosa gli doveva dire? Che aveva scritto e pubblicato tre libri di buon successo? Che aveva reinvestito parte dei proventi letterari e viveva di una discreta rendita per condurre quella vita spesa in giro come un nomade interplanetario?
Che era tornato su FRICANE per ritrovare qualcosa di vissuto che non riusciva più a togliersi dalla testa? E che cosa avrebbe cercato su ARAM? No, meglio tacere tutte quelle motivazioni.
- Ho dei risparmi... E poi vivo così, alla giornata: magari trovo uno come te, povero confratello assistito, che mi paga trecento fiorini per due giorni di macchina... -
Art restò zitto, fregato dalle sue dichiarazioni di poco prima.
Sul cruscotto della vettura c'era il libro di racconti comperato la sera prima: Yon lo aprì e dette una scorsa all'indice, chiudendo così la conversazione.
Si sentiva di nuovo angosciato da qualcosa che stava forzando la sua mente per uscire, per essere rivisto come un nastro messo da parte e non cancellabile. Alzò la testa di scatto e guardò fuori, verso ovest: nella piana sotto le colline si ergeva un pinnacolo di pietra azzurra e levigata...
Unico e inconfondibile.
- Dove stiamo andando? - chiese a Folker per scacciare il ricordo dell'assalto alle basi dei ribelli, laggiù nella piana, dieci anni prima.
- Te l'ho detto: devo passare da una base, laggiù... - e indicò un punto oltre il pinnacolo di granito.
- Cosa c'è in quella base? -
- Un piccolo locale, naturalmente... Ehi, non ti pago per farmi tutte queste domande! Se ci hai ripensato, dillo e ti faccio sfruttare le tue doti di camminatore... - minacciò blandamente Art.
Yon sbuffò: possibile che il pallidone volesse davvero solo un po’ di compagnia per fare due chiacchiere e qualche partita a scacchi?
“ Proviamo... “ si disse.
- Si. Facciamola finita: fammi scendere! -
Folker ci rimase di sasso e gli disse che aveva scherzato. Yon invece no e lo fece fermare davvero.
Poco dopo guardava il veicolo allontanarsi lungo il segno grigio dell'asfalto poi, senza pensarci troppo, Yon si calcò il suo berretto da sole e cominciò a correre.
Teneva un passo leggero ma continuo, un po’ da maratoneta, segno di un allenamento lungo e poco divertente, protratto per anni.
Il suo piccolo alzare polvere pian piano si distaccò dal grigio della strada, finché le due direzioni furono nettamente divergenti.

*

Dalle dune leggere della piana apparivano come un ammasso lucido di contenitori d'acciaio, interrotti dal magro segno azzurro del granito.
Appostati fra la sabbia rossastra e granulosa, i quattrocento Esploratori Avanzati d'Assalto studiavano quei contenitori ed il movimento intorno ad essi.
Ordini niente.
Quelle basi mobili erano l'ultima risorsa dei ribelli per allungare quel conflitto ormai vicino ad una fine ingloriosa per loro e per le truppe mercenarie di FRICANE, allora chiamato solo B/M 12453 o, come era più conosciuto, "La Miniera".
Nove delle tredici compagnie minerarie che avevano tentato di sfuggire al controllo federale si erano arrese ed avevano tagliato quindi i fondi ai soldati ribelli, mercenari e minatori armati: le ultime due gravi sconfitte avevano ridotto quel tentativo di "indipendenza" (come lo avevano chiamato i presidenti dei consigli d'amministrazione coinvolti) in una tragica guerra civile.
C'erano circa duemila ribelli, armati e non, in quella base, sorta nel giro di tre-quattro ore, mentre le truppe federali erano già lì da poco più di sei.
Sui canali radio nessun ordine, nessuna indicazione provvisoria, niente di niente. Ufficiali, sottufficiali e soldati federali erano stesi fra le dune color ruggine, mimetizzati nelle loro tute cromatiche e condizionate; nell'atmosfera di FRICANE nemmeno un ricognitore o un elicottero da battaglia; nemmeno un segno dell'imminente arrivo in forze d’altre truppe federali, l'Undicesima Brigata d'Assalto in movimento a quelle latitudini.
C’erano solo loro Esploratori nella piana, il 18° Raggruppamento Avanzato: truppe scelte, preparate sul Pianeta della Guerra, il famigerato M-2118. Tutti poveracci volontari, sottoposti al condizionamento cerebrale dei metodi totalbrain anti-ipnosi per renderli robots efficientissimi, ma pur sempre di carne e con dei sentimenti.
Il generale Ravitz sosteneva che i suoi Esploratori valevano ciascuno almeno cento soldati comuni o venti dei migliori reparti.
Quando era arrivato l'ordine d'attacco alle basi mobili dei ribelli (il sergente Argo Benyon era vicino alla radio e aveva sentito l'ordine in diretta) i quattrocento super-soldati erano ancora soli fra le dune ossidate della piana.
Nessuno era comparso, a sorpresa od annunciato via radio o dal rombo dei getti a reazione atmosferici.
Il combattimento era durato solo due ore scarse, ma le basi dei ribelli, si erano salvati solo una mezza dozzina di quei contenitori lucidi, erano state conquistate da una trentina di quei cervelli condizionati.
Gli altri duemilatrecentosessantatré esseri umani, ribelli o federali, erano tutti morti o feriti, dilaniati dai razzi, bruciati dai laser, accoltellati o colpiti da classico piombo.
Dall'alto delle colline Yon riviveva tutto questo, anche se per effetto della preparazione totalbrain rivedeva le scene dall'angolazione originale, sovrapponendola a quella che gli occhi percepivano nella realtà dal lato opposto.
Dette un'occhiata al suo cronografo, scuotendo la testa come per svegliarsi o riprendersi da una sbornia. Già più di due ore che era lì ad attendere Art Folker, ammesso che avesse ripercorso quella strada per rientrare sulla planetaria.
Seguì la scia azzurrina della strada fra le colline e la piana sabbiosa: niente in vista.
Lo colpì invece un movimento fra le dune ad est del pinnacolo di granito: una macchina?
Imbracciò il suo Wesson-Sharp ed inquadrò nel puntatore laser quel puntino scuro semi-nascosto: mise l'ingrandimento al massimo.
Art Folker, vicino alla sua "seiruote", stava contando i passi che faceva, ridicolo in quella camminata sforzata.
“ Cosa cerca? “ si domandò.
Rimase ad osservarlo compiere quella mimica ripetitiva: pochi passi, un'occhiata alla posizione della macchina, una anche tutt’intorno, poi di nuovo a passi allungati fra le dune. Continuò in quella pantomima ancora per qualche minuto, tanto da allontanarsi di un paio di centinaia di yarde dalla macchina, sempre seguito a distanza da Yon nel puntatore elettronico del suo fucile.
Folker si guardò ancora intorno: sembrava temere qualcosa. Studiò la strada lontana, oltre il pinnacolo azzurro cupo, poi le colline, tanto da arrivare a fissare Yon negli occhi, naturalmente per effetto dell'ingran-dimento.
Poi iniziò a scalciare la sabbia con furia e, dopo un nuovo giro d'orizzonte, tornò in fretta alla “seiruote”, per tornarne quasi subito armato di pala.
Yon fu certo a quel punto che il pallidone cercasse qualcosa di prezioso, gelosamente nascosto per molto tempo e soprattutto interessante anche per altri...
Art Folker scavò con foga, poi si gettò in ginocchio e Yon lo perse di vista, nascosto dalla cresta di una duna. Lo vide ricomparire visibilmente furioso e scagliare lontano una pietra piatta. Poi andò avanti nello scavo, interrotto solo per guardarsi intorno ogni tanto, per quasi un'ora: infine, dopo essere sparito per l'ennesima volta sotto la duna, riapparve con-citato, in corsa verso la sua macchina.
Pochi attimi dopo la spostò, portandola al punto dei suoi scavi.
Aveva trovato il suo "tesoro"?
Yon, contagiato dal continuo guardarsi intorno dell'altro, lo imitò e dette una scorsa circolare all'orizzonte con il fucile; dette ragione a Folker per la prudenza: era stato seguito e controllato, suo malgrado. Il problema era che il viaggiatore si era sempre guardato intorno senza alzare mai lo sguardo oltre la normale visuale.
Un altro lieve movimento gli confermò quanto aveva intravisto: sul pinnacolo di granito c'erano degli uomini, almeno una mezza dozzina. Erano immobili, nascosti verso il basso a occhio nudo, grigio-azzurri come la roccia levigata.
Yon tornò ad inquadrare Art Folker: stava tirando su qualcosa dalla sabbia. Imprecando vistosamente si curvò di nuovo, arrendendosi infine, stravolto.
Armeggiò intorno alla macchina e tornò allo scoperto con una corda od un cavo da traino. Dopo aver agganciato il suo “tesoro” alla macchina, salì a bordo e cominciò a farla arretrare.
La cosa sembrava funzionare: dopo qualche istante, infatti, lo vide balzare giù dalla “sei-ruote” e tornare al suo scavo. Sparì di nuovo sotto la cresta della duna.
Anche gli uomini sul pinnacolo adesso si stavano muovendo, discendendo le pareti le-vigate con corde scure.
“ Sarà meglio che vada a vedere... “ si disse Yon, scontento.
Aveva atteso lì il viaggiatore dei Pianeti-Tempio solo perché il libro comperato la sera prima era rimasto sul cruscotto dell'auto, dimenticato, ed a lui interessava riaverlo. Vista la situazione in cui Art si era messo, il minimo che poteva accadere al libro di Derrel era di bruciare con tutta la Ford-Honda a sei ruote e con il proprietario della stessa.
Mentre correva col suo passo cadenzato, avvertì di nuovo l'oppressione che aveva provato dieci anni prima, dopo l'ordine d’attacco alle basi dei ribelli. Era una carenza dei metodi totalbrain: toglievano la coscienza del pericolo, rendevano sprezzanti, sicuri delle proprie possibilità, almeno nel settore razionale della mente, ma la somma delle circostanze per-sisteva e dava, in qualche luogo inconscio del cervello, la sensazione esatta di quanto l'individuo stesse per fare in realtà.
L'angoscia, insomma, restava.

*

- Vuoi una mano, Folker? -
Art sobbalzò: era sudato, stanco e nervoso.
La cassa, con il suo contenuto tanto prezioso, pesava troppo per una persona sola: l'aveva sempre saputo e per questo aveva assoldato quel tipo col fucile. Poi, rimasto solo, si era la-sciato prendere dalla frenesia della disperazione ed aveva ugualmente tentato il recupero lo stesso... con quel risultato!
L'uomo che aveva parlato, il più vicino, era una sua vecchia conoscenza: tre campagne insieme, compresa la sconfitta finale, lì in quella piana maledetta, dieci anni prima.
Folker si passò una mano sugli occhi e si terse il sudore che gli colava sul viso: pian piano mise a fuoco anche le facce degli altri cinque.
Ex veterani della guerra civile anche loro.
- Allora? Caro il nostro sergente Folker, capo tesoriere del reparto, cosa ci racconti? Ti è tornato in mente, alla fine, il nascondiglio dell'oro, vero? - disse ancora l'uomo.
Art adesso era certo solo della sua prossima brutta fine.
Erano anni che passava da quei luoghi sempre attento a non essere seguito. Ogni volta studiava una frazione del suo piano di recupero dell'oro, ogni volta angosciato dalla possibilità che qualcuno dei suoi ex compagni di guerra lo scoprisse e lo seguisse nei suoi spostamenti.
Poi la notizia avuta su AZNEIPAS che lo avrebbero destinato ad altri pianeti lo aveva convinto della necessità di recuperare per forza il tesoro in quell'ultimo viaggio su FRICANE.
E adesso... dieci anni di attese ed attenzioni per niente... solo per recuperare l'oro agli altri!
- Ce n'è per tutti... - azzardò a dire, con la voce rotta dalla stanchezza.
I sei risero.
- Certo. Lo sappiamo bene; infatti divideremo in sei il tesoro! - disse il capo, ridendo di nuovo.
- Ascolta, Morganti: non dirò niente a nessuno... E l'oro è tutto vostro, solo vostro! Non mi vedrete più; lo giuro! - si disperò Folker.
Il veterano guardò gli altri in silenzio, ma questi dogghignarono lugubri. Morganti estrasse la sua pistola automatica e la puntò su Art Folker, poi parlò di nuovo.
- Eravamo in sette a sapere dell'oro nascosto da te: tu farai la fine che ha fatto il maggiore Yazaki. Gli altri sei siamo noi... – finì, ridendo e guardando gli altri a conferma della sentenza.
Tirò indietro il cane dell'automatica, armando così quel vecchio modello d’arma da fuoco, ma sul suo petto comparve il puntino rosso di un puntamento laser ed uno schiocco leggero gli forò il giubbotto, uccidendolo sul colpo.
Yon apparve sulla duna di destra, con il suo Wesson-Sharp rivolto verso il gruppo dei cinque uomini rimasti in piedi, sorpresi.
Con la sinistra attivò, premendo un pulsante nero nell'asta del fucile, la canna calibro "otto", inferiore al tubo laser. Al movimento di uno dei cinque per prendere la pistola a terra, sparò due volte con quella canna da fuoco e inondò il gruppo con più di tre once di pallettoni da caccia ogni volta, distribuendo a suo modo un ordine forzato.
Se il laser dava garanzie d’altissima precisione anche a distanze lunghissime, quelle vecchie cartucce a piombo davano invece notevole sicurezza sulle distanze ultracorte.
Tirò su Folker, ancora più incredulo di quando si era trovato davanti i sei ex commilitoni.
- Dovevo farti ammazzare! Poi ho pensato che forse è meglio un figlio di puttana vivo che sei peggiori di lui, assassini e ricchi... Cos'è questa storia dell'oro? Era questa la deviazione per la "piccola base"? -
Art si appoggiò alla macchina per riprendere fiato: fece a malapena di sì con la testa, prima di parlare.
- Senti Yon: aiutami a caricare l'oro ed andiamo via... Ti racconterò tutto sulla macchina... basta che ce ne andiamo! -
Mezz'ora dopo erano sulle colline, lungo la strada asfaltata, già lontani dalla piana.
- Sto aspettando... e guida meglio! - disse Yon appena vide Folker un po’ più disteso.
Il viaggiatore si schiarì la voce.
- Dieci anni fa FRICANE si chiamava B/M 12453... -
- Lo so... continua. - chiarì Yon.
- ...Noi però lo chiamavamo "La Miniera"... -
- So anche questo: vai avanti! -
- FRICANE è ricco di molti minerali e tredici delle diciotto Compagnie Minerarie che si erano divise le zone da sfruttare si ribellarono ai controlli federali e formarono dei reparti armati di mercenari, minatori ed abitanti. C'erano da dividersi tanti di quei soldi diventando i padroni assoluti del pianeta e vendendo poi a chi offriva di più, che non te lo puoi immaginare... -
Yon invece sapeva benissimo anche quello, ma stavolta non lo inter-ruppe.
- Poi le cose si misero male: dopo i primi tre mesi di piccoli scontri arrivarono i soldati della federazione in forze: c'erano anche dei reparti addestrati sul Pianeta della Guerra e le battaglie cominciarono a farsi disastrose per i ribelli. I rifornimenti cominciarono a mancare e i soldi pure: restava solo l'oro avuto per ricompensa ai mercenari, ancora da dividere... Poi nove delle Compagnie Minerarie trattarono la resa e ci tagliarono i fondi. Ormai la guerra d’Indipendenza era solo un fallimento...
- Sai? Laggiù in quella piana di prima finì tutto... Proprio laggiù dove mi hai salvato c'erano le basi mobili di noi indipendentisti: le ultime rimaste intere... Credevamo di non essere stati individuati in questa zona del pianeta, invece... - fece fare uno scarto violento alla macchina per evitare un masso ruzzolato sulla strada.
- Allora ero sergente e sapevo dove tenevano l'oro: mentre le basi venivano disposte, io approfittai della fretta di tutti e della confusione per nasconderne un po’ in quella cassa là dietro, già sistemata in una buca poco fuori il perimetro delle basi. Non lo nascosi tutto: solo un po', perché non se ne accorgessero. Contavo di recuperarlo dopo la fine della guerra, ormai vicina... Certo non credevo che fosse così tanto vicina! Accidenti al quel figlio di puttana del Generale Ravitz e ai suoi Esplora-tori: erano già nascosti nella piana e noi ci accampammo proprio sotto i loro occhi! -
Art fermò la Ford-Honda e si girò verso Yon: sembrava imbarazzato, come in procinto di dire qualcosa di importante, ma incerto sulle parole da usare.
- Senti... - iniziò - ...con quell'oro contavo di lasciare questo pianeta ed i viaggi per portare l'Acqua Sacra. Ti ricordi di ZAMBET? Si... il pianeta di cui ti dicevo ieri sera? Ecco voglio andare là e passare la mia vita a letto con una nera con gli occhi azzurri. Mi capisci? Non m'importa niente dei Templi e dell'Acqua Sacra: era solo un modo comodo di tornare in-disturbato per anni su questo maledetto deserto di ruggine e sassi! Ti darò un po’ d'oro! Che ne dici? Però non devi dire niente a nessuno... a nessuno, hai capito? Quest'oro è mio! Capisci?!? -
Yon restò impassibile, fissandolo torvo per un po', girando infine lo sguardo verso il blu della strada. Ne aveva viste di peggio nei suoi trent'anni di vita.
Secondo lui Art non meritava di godersi quell'oro rubato, forse anche perché aveva tentato d'ingannarlo in principio: ma i sei che volevano ucciderlo per rubarglielo a loro volta (legittimi padroni di un po’ di quell'oro?) erano individui sicuramente peggiori di quell'essere sconvolto che aveva accanto...

Folker, in fondo, non voleva ammazzare nessuno: tanto valeva far finta di niente...
- Certo: l'oro è tuo Art... Non ne voglio nemmeno una scaglia per ricordo, stai tranquillo! Mi basta solo il passaggio fino alla prima stazione, dove prendere un traghetto per continuare i miei viaggi, magari verso il Sistema Solare... Avrei proprio voglia di una birra della TERRA, fatta con il luppolo e l'orzo, non sintetica come quelle di BERGALI. Non voglio nemmeno i tuoi trecento fiorini... - si fermò e lo guardò fisso in volto - ...Mi basta solo poter raccontare questa storia, se un giorno ne vorrò fare un romanzo... Chi vuoi che ti riconosca dietro un nome inventato? E poi ora ci sei rimasto solo tu a sapere del tuo oro... Tu ed io, che non so niente... Che ne dici? -
Art riavviò la macchina, tacendo per diversi minuti, sforzandosi di pensare e di guidare bene, cosa quasi impossibile.
- Va bene: puoi farlo. A patto che mi spieghi due cose... La prima è perché sei tornato a cercarmi e la seconda dov'è che hai imparato ad usare tanto bene quel fucile "misto"? -
Yon fece un mezzo verso con la bocca, una sorta di sorriso o di smorfia d'imbarazzo.
- Su “CENTODICIOTTO” insegnano tante cose... Una è come si maneggiano le armi e ti garantisco che non te lo scordi più! - spiegò infine.
Art lo guardò di scatto, facendo sbandare anche la macchina.
- Tu sei stato sul Pianeta della Guerra? -
Yon annuì piano, indicandogli la strada che, poco più avanti, curvava.
- Ora comprendo tante cose! - continuò Art - Vuoi scrivere un romanzo con la mia storia... Yon? Yon...!! ARGO BENYON, lo scrittore reduce dalla guerra di secessione del Pianeta Miniera! C'eri anche tu...! - sbottò.
- Si... ma dall'altra parte. - ammise Yon.
Art fermò la macchina bruscamente: ne discese in fretta e fece qualche passo; poi tornò indietro fino allo sportello aperto.
- Tu... Tu, maledetto bugiardo! -
- Dove ti ho mentito? - gli chiese Yon, sorridente.
Folker si mise una mano sulla testa e risalì in macchina. Lo fissò di nuovo, ma la sua furia era strana, mista a stupore e, pur incon-sciamente, a gratitudine rozza.
Ripartì mormorando che andava bene così. Poi alzò di nuovo la voce.
- E perché mi hai cercato di nuovo? Non me l'hai detto... - domandò.
Argo Benyon alzò gli occhi dal libro di racconti che aveva in mano e lo mostrò al compagno.
Sorrideva.
- Per questo... L'avevo dimenticato sul cruscotto. –





 

Prima versione del racconto Estate 1986 (il Tesoro di Yon)
Pubblicato su “YORICK” 1988 (Sotto i soli di Fricane)
(2° classificato categoria Fantascienza)

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