domenica 2 agosto 2009

L U S I N D A (2003)


Nel vicolo più lontano, rispetto alla cattedrale, c’era una fila di banchi, di fatto l’ultima parte del mercatino antiquario. Alle dodici il sole era dritto e lucente sopra al vicolo e illuminava tutte le anticaglie esposte; nel resto della giornata invece filtrava dai dislivelli dei tetti o per i riverberi provenienti dalle strade vicine o dalla piazza, sempre soleggiata.
Nora e Dani vi arrivarono a metà pomeriggio e la luce nel vicolo era soffusa e discreta; invitante dopo l’ombra che ammantava l’antico palazzo lucchese, che dava nome al vicolo e al tempo stesso quasi ne vietava l’accesso, nascondendolo con una parte sporgente della facciata.
- Qui non c’è niente. - disse Dani tornando indietro ma Nora, non svogliata e disattenta come lui, aveva intuito qualcosa dietro il doppio angolo.
Proseguì nel vicolo e trovò il primo dei banchi, coperto da vecchie cartoline, stampe consunte, disegni e cornici vuote. Oggetti di vite altrui.
Dani sbuffò, fece per dirle qualcosa e poi la seguì scocciato. "Quando si fissa con un idea è peggio di un mulo!" - brontolò.
L’ultimo della piccola teoria di banchi era solo un tavolo consunto, contornato da seggiole scompagnate e un puttino di legno dorato che si chiedeva cosa avesse fatto di male per cascare lì dal paradiso.
Fu però il banco avanti a questo ad attrarre Nora: era affollato da bambole simili fra loro ma con vesti diverse; tutte sull’attenti come un coro silenzioso, pronte al cenno del maestro a intonare chissà quale inno ("O Fortuna", pensò Dani quando le vide e sentì anche risuonare nella mente il canto orfico).
- Mamma mia, come sono brutte! - disse poi, parere non richiesto.
- Non è vero, guardale bene: guarda gli occhi come sono lucenti e intriganti e guarda i loro abitini come sono rifiniti. - chiarì Nora indicandogli le più vicine.
Accanto al banco c’era una donna di età imprecisata con i giovani capelli scuri, le rughe da vecchia sul viso e occhi chiari senza tempo. Alzò lo sguardo dal suo libro e fissò la ragazza.
- Puoi toccarle. - le disse - Attenta solo a non mischiarle perché ognuna ha il suo diario.
Ogni bambola aveva infatti, sotto i piedini, un piccolo libro rilegato in pelle. Nora alzò la bambola vestita di giallo e arancio che gli stava davanti e prese il diario. Sulla prima pagina c’era scritto "AURORA, Signora nel Mattino"; le poche pagine a seguire erano bianche.
- Sembra pergamena. - disse rivolta alla donna senza tempo; infatti questa annuì.
- Chissà quanto costano… - borbottò Dani, intento a dissuadere Nora da un eventuale acquisto. Ma lei era attenta a valutare le differenze o somiglianze fra i vari pezzi. Ognuna sembrava avere lo stesso viso anche se poi, a ben vedere, erano diverse nei particolari: la piega della bocca, un sorriso o un broncio più o meno accennati. Gli occhi, allungati e lucenti erano di varie tonalità come i capelli. Ogni vestito aveva un suo cappellino e talune lo indossavano, altre lo tenevano in mano come appena tolto dopo una passeggiata; tutte graziose e leggiadre, anche la vichinga bionda, con il corpetto di cuoio e l’elmo lucido con le corna ricurve.
Mentre Nora pensava ancora quanto fossero carine, la donna dette ancora una spiegazione:
- Sono tutte Signore di un tempo o di un’emozione, ma quelle al centro sono Regine. - le disse senza alzare gli occhi dalla lettura.
La ragazza fece attenzione e notò che alcune bambole avevano gli occhi più grandi e più belli e i loro abiti avevano dei particolari in più, come un fiore, un ricamo o un velo. Nora prese quella con l’ampio abito scuro, quasi un nero lucente, con il cappello a punta e lo sguardo duro. "LUSINDA, Regina nell’Oscurità" era scritto nel diario.
- Sembra una strega. – disse Nora, fissandola negli occhi – Però mi piace. Quanto costa? -
La donna si alzò e guardò appena la bambola, studiando molto di più la ragazza, come se fino a quel momento non l’avesse vista.
- Trenta euro. E’ troppo? -
Allo sguardo stupito di Nora precisò: - Sono fatte a mano dalle ragazze ospiti di un collegio: povere figlie disgraziate di questo mondo ingiusto. Il collegio provvede a tutte le necessità e questi piccoli capolavori sono qualcosa in più, una specie di offerta da fare loro. Varrebbero molto di più ma poi chi le comprerebbe? -
Nora annuì convinta.
Mentre pagava ed aspettava che la signora le consegnasse la bella bambola in un banale sacchetto di plastica, Nora notò lo scatolone aperto di fianco al tavolo: era pieno di altre bambole che, osservandole meglio, vide essere tutte con sembianze maschili.
- E quelli? – chiese indicandoli.
- Carini, vero? Sono bambolotti fatti dalle stesse ragazze. Qualcuna li chiama "i fidanzatini", non so perché. –
- Te ne compro uno! Eh? Dai, quale vuoi? – rise Nora guardando il suo ragazzo.
Dani le scoccò un’occhiata che avrebbe incenerito un treno in corsa e Nora se ne accorse. Prese la sua nuova bambola e salutò allegra la donna, poi girò sui tacchi togliendolo dall’imbarazzo.
Lasciando il vicolo, Nora con la sua bambola e Dani con la voglia di prenderla in giro per l’acquisto, lei studiò bene il piccolo capolavoro: gli occhi scuri e lucidi della bambola brillavano sotto il sole pomeridiano e il vestito, come il cappello, era di un blu profondo. Guardò in volto la bambola e vide di una cosa non notata prima: Lusinda sorrideva leggermente. A Nora venne naturale fare altrettanto.
- Quando torni ad avere vent’anni, magari ti ricordi che sono sette giorni che non facciamo l’amore. E io ne avrei anche voglia. – brontolò Dani inforcando gli occhiali da sole sopra il broncio che stava mettendo su (anche lui da bravo bambino).
Nora si stupì della frase del suo ragazzo, lì, in mezzo alla gente della piazza e gli fece un gesto come a dire "ma sei scemo?".
Guardò Lusinda e poi la voltò verso di lui, indicandoglielo: - Lo vuoi? Te lo regalo! Che ne so: potresti rivenderlo, mangiartelo, farlo sparire. Che ne dici? -
Dani si voltò a guardarla (guardarle), tirando gli occhiali sulla fronte. Poi sbottò:
- La giri codesta stronzetta? Mi guarda male! -
*
Nella sua camera Nora si asciugò l’ultima lacrima e guardò la foto di Dani; dal volto del suo ragazzo passò poi a quello di Lusinda, messa in bella mostra sul comò.
Lei e Dani avevano litigato a fine pomeriggio: prima i musi lunghi di lei per le prese in giro del ragazzo; poi lui, offeso per il rifiuto di Nora di cercare un posto tranquillo per star soli. Infine le cattiverie, magari non pensate però dette; il rinfacciarsi cose ed eventi forse inesistenti ma a quel punto armi utili nella lite. Inevitabile conclusione delle scontentezze del pomeriggio.
Dani in quel momento sarà stato a rodersi nella sua camera come stava facendo lei, o forse in giro con qualche amico a sbollire. Ci aveva pensato anche lei ma non aveva voglia di farsi vedere in giro quel sabato sera. Le amiche (pettegole) avrebbero chiesto, indagato, rigirato il coltello…
Magari l’indomani sarebbe stato diverso: lui più tranquillo e voglioso di fare pace e di lei (senza frenesie) e quindi perché dare per finito qualcosa?
Si infilò a letto con il tarlo che in fondo non fosse Dani quello giusto; spense la luce e cercò di dormire mentre l’adrenalina svaniva e la lasciava spossata.
Nel buio rimase solo il lucore degli occhi di Lusinda.
*
Capelli neri, corvini e folti, più neri dell’oscurità intorno e due occhi brillanti che sembravano galleggiare, vivi, autonomi.
Dani sentì il brivido prenderlo dalle natiche e salire rapido fino alla nuca, drizzandogli i capelli e i peli del corpo. C’era una macchia d’ombra fra le case e gli alberi del viale; la figura era un’ombra appena visibile ma con quegli occhi a brillare inquieti e inquietanti (famelici).
La ragazza fece un passo avanti, rivelandosi nella sua travolgente bellezza.
- Ciao. - gli disse con voce decisa, con quegli occhi piantati nei suoi.
Dani restò zitto.
Chi era quella lì? Così bella; tanto eccitante da rimescolarlo tutto mentre gli faceva venire la pelle d’oca?
- Ti hanno mangiato la lingua? - chiese lei ridendo (ma non gli occhi, solo con la voce); poi si riavviò i capelli. Nel farlo tenne ancora gli occhi fissi nei suoi e sembrò accennare un sorriso diverso, complice e malizioso: privo di ogni derisione, forse una domanda muta. Pareva chiedergli: " ma, mi hai visto bene? ".
Con poca riserva di parole e il cuore sballato, Dani fece un tentativo.
- Ti conosco? – balbettò mentre il profumo di lei arrivava a lui ed era ovunque (trascinandolo altrove).
- No, te lo ricorderesti. - disse lei con tanta naturalezza da abbatterlo - Che ci fa un bel ragazzino come te tutto solo da queste parti? –
Dani avrebbe voluto farle la stessa domanda: che ci faceva una ragazza così bella, così fenomenale, così poco adatta (poco normale?) nel suo abitino nero corto ed attillato. Ebbe un lampo, realizzando ciò che non aveva capito subito.
- No, ti sbagli sai? Non sono una di quelle. – disse lei come se avesse sentito i suoi pensieri.
- No, scusa… - balbettò Dani. Ma di che si scusava? Di un pensiero?
Ora gli girava la testa: il profumo di lei, la voglia di lei, sottile (la paura di lei, ENORME), la delusione per il rifiuto di Nora di fare l’amore, il litigio di fine pomeriggio e i brividi che la sconosciuta gli metteva addosso.
Si portò una mano alla tempia e chiuse gli occhi.
La ragazza si avvicinò di più e gli accarezzò la mano e poi la fronte, delicatamente. Continuò la carezza sui capelli, portando la mano dietro la sua nuca e poi sul collo.
Socchiuse la bocca e Dani apprezzò ancora di più la bellezza dei lineamenti, la linea dritta del naso, la forma perfetta delle labbra di lei; bruciava del desiderio di essere baciato da lei ovunque, con quella bocca fresca, umida, piena di promesse e di inviti: piena di desiderio, piena di…
Piena di ZANNE !!
Zanne enormi, feline, più che feline… mostruose.
Dani si risvegliò gemendo, fradicio del suo sudore.
Si sentì gelare e accapponare la pelle, poi di nuovo soffocare nel bollore del suo corpo agitato, svegliatosi di soprassalto dall’incubo.
Sentì il bisogno di andare in bagno e ne approfittò per lavarsi la faccia e i polsi con acqua fredda. Era già sveglio e voleva solo scacciare l’incubo. Tornò in camera e il caldo della stanza era fastidioso dopo il fresco dell’acqua.
Aprì finestra e persiana e si affacciò nella notte fresca e schiarita dalla luna ormai piena, alta nel cielo stellato. Nel silenzio notturno il passo leggero di qualcuno sul marciapiede lo fece guardare giù.
Dagli alberi apparve nella luce lunare una ragazza dai capelli neri e folti: i suoi occhi sembravano galleggiare nella notte e guardavano verso di lui.

*
Nora si svegliò di prima mattina, con l’entusiasmo di chi deve fare qualcosa di grande e nuovo proprio quella domenica e, quindi, non ha tempo da perdere. Naturalmente la sensazione non era accompagnata anche da cosa dovesse fare e assieme al ricordo del litigio, un po’ la frastornava.
" Intanto devo mettere a posto. " - borbottò considerando il letto sfatto, gli abiti gettati a caso sulla sedia (non era da lei, sempre così perfettina) e la bambola nuova fuori posto.
Nora guardò Lusinda ripensando che era a posto la sera prima. Forse era entrata sua madre mentre dormiva e l’aveva spostata per guardarla?
Le sembrò che la bambola sorridesse più di quando l’aveva comperata. Inoltre Lusinda aveva un segno rosso sul lato della bocca e Nora lo toccò per capire cosa fosse. Sul dito le rimase una macchiolina rosso cupo. Mentre cercava un fazzoletto per pulirla vide il diario della bambola: anche questo non era dove l’aveva messo lei.
Nora lo aprì e vide una scritta, rosso sangue come il segno sulla bambola, vergato in una calligrafia minuta e un po’ fuori dal tempo.
C’era scritto:
" Nora adesso è libera."
Mentre cercava di capire, sentì il trillo del telefono al piano e di sotto e poi la voce agitata di sua madre che la chiamava:
- Nora, corri: è la mamma di Daniele! Non lo trovano più! -

*

Dani si svegliò con l’esatta sensazione di non sapere dove si trovasse, accompagnata subito dopo da quella di non potersi muovere.
Aprì gli occhi e vide penombra attorno a sé ma non quella della sua camera.
Ricordò il sogno e sospirò, poi fece per muoversi e di nuovo provò la sensazione d’immobilità forzata.
Chiuse gli occhi e li riaprì cercando di far passare il tumulto che faceva il suo cuore.
Era ancora sdraiato e si trovava su un piano rigido, non su un letto, una stanza in penombra che sembrava non avere limiti tanto era grande.
La luce aumentò di colpo sbalordendolo; poi una forza esterna lo prese come s’impugna un oggetto e lo mise quasi in piedi. Due occhi chiari ed enormi lo fissarono da un volto senza tempo, contornato da capelli scuri. L’esame durò pochi istanti, poi si sentì spostare verso il basso, fino ad uno scatolone aperto e quasi al buio.
Dani tentò di urlare ma si accorse che non poteva emettere nessun suono, che la sua bocca sembrava pietrificata come il suo corpo.
Si trovò in piedi, in mezzo ad altri corpi rigidi e vestiti quasi tutti come lui. Tentò di nuovo di urlare ma l’urlo risuonò solo nella sua mente sconvolta.
Quando tornò il silenzio durò solo pochi istanti; poi una voce di giovane uomo risuonò nella sua mente, nitida.
Poche parole ma tremendamente chiare.
- Piantala di urlare! Rassegnati prima che puoi, sei solo un bambolotto come noi, adesso! –

***

in questo racconto traspare qualche immagine della città di Lucca, alla quale sono molto legato fin da bambino. Legame venuto fuori anche in altri miei scritti...

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